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Marito tradito scopre la tresca della moglie grazie al suo cane

Dire al marito che si esce con le amiche e che si farà tardi: è una delle scuse più classiche che una donna usa se vuole nascondere incontri galanti e tradimenti. A Vibo Valentia, un’avvenente donna poco più che trentenne e madre di due bambini lo ha fatto, martedi’ scorso, dopo le 21, ma con una variante che le è stata fatale: portarsi dietro il proprio cane da salotto, uno yorkshire sin troppo vivace.Proprio per questa caratteristica, la fedifraga ha legato l’animale a una fioriera del centro storico davanti al bar del suo amante. Abbassata la saracinesca dell’esercizio, ma non totalmente, i due amanti hanno dato libero sfogo alla loro travolgente passione.Senza cena pronta, l’ignaro marito (un operaio di circa 40 anni) aveva deciso di recarsi in rosticceria per comprare pizze e arancini, portando con sé i figli. Il caso però ha voluto che scegliesse una rosticceria  ubicata a pochi metri dal bar.All’arrivo del gruppetto il cane legato alla fioriera si è messo ad abbaiare insistentemente perché ha riconosciuto i padroni. Uno dei bambini ha fatto notare che quello era il cane della mamma. Allora, il marito insospettito, si è avvicinato al bar, ha alzato di scatto la saracinesca e ha scoperto i due amanti in flagrante.La rabbia dell’uomo tradito si è abbattuta violentemente sull’amante della moglie con una raffica di pugni e di calci. Nella colluttazione, mobili e suppellettili del locale sono stati danneggiati. Alcuni passanti hanno chiamato i carabinieri e un’ambulanza del 118 che ha portato al pronto soccorso il barista pestato a sangue. Dopo le necessarie cure, è stato dimesso con una prognosi di pochi giorni.I carabinieri hanno interrogato i protagonisti e si preparano a denunciare il marito aggressore che ha già dichiarato di volere divorziare dalla moglie. Lei si è giustificata dicendo che con le amiche aveva bevuto troppo e che poi aveva occasionalmente ceduto alle avance del barista. Ma delle amiche non si è trovata traccia alcuna.

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Attenti al falso Chrome: sta colpendo ovunque

C’è un nuovo tipo di “pizzoelettronico”, in gergo ‘ransomware’, che sta prendendo di mira gli internauti italiani fingendo di essere Chrome, il popolare programma di Google per navigare su Internet. Il codice dannoso, che prende in “ostaggio” i file sui computer degli utenti, è stato individuato dalla società Eset.
Secondo i ricercatori di Eset nella prima settimana di gennaio gli internauti italiani sono stati i più colpiti a livello mondiale dalle diverse varianti del ransomware Filecoder, con il 6,35% delle infezioni. Il software, appunto, finge di essere il file necessario a eseguire il browser Chrome di Google.
Intanto il vero Google Chrome è nelle ultime ore al centro di un problema: a causa di una sorta di “bug” (contenuto nelle schede grafiche Nvidia e del sistema operativo OS X di Apple) la navigazione online in incognito non funziona come dovrebbe e riapre l’ultima pagina visitata, un sito porno nel caso dello studente canadese che ha portato alla ribalta la questione. Per questo è stato ribattezzato ‘porno-bug’.
Nel weekend Evan Andersen, studente dell’Università di Toronto, ha visitato un sito porno con Chrome in modalità privata. Dopo ore ha iniziato a giocare con il gioco Diablo III e nel momento in cui ha riaperto il browser si è visto davanti l’ultima pagina visitata, il sito porno, che invece avrebbe dovuto essere cancellata. Il problema, come ha scoperto lo studente, non riguarda Chrome ma le schede video
Nvidia: quando si chiude Chrome queste non cancellano tutta la memoria video.
Nvidia però, scrive il sito Motherboard, ha addossato la colpa a Apple: il bug, spiega un portavoce, riguarda la gestione della memoria nel sistema operativo OS X, quello dei computer Mac.

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Arika, dopo un incidente stradale col fidanzato Hunter, posta su Facebook una foto che ha commosso migliaia di persone

“Tre secondi. Questo è il tempo che abbiamo avuto dal momento in cui la nostra macchina andava fuori strada, sino a quando un camion ha colpito la colonna a 137 km orari. In tre secondi Hunter ha dovuto gestire la situazione. Avrebbe potuto ucciderci o salvarci la vita”.

Uno scatto, postato da Arika Stovall sulla sua pagina Facebook, racconta il momento in cui lei e il ragazzo Hunter si sono rincontrati dopo un incidente stradale con il loro pick-up. Nell’immagine la ragazza sorride tra le braccia del fidanzato, mentre lui le accarezza i capelli, confortandola dopo lo spavento.

 

 

 

 

 

“Si sente in colpa per il dolore che sto provando, ma mi ha salvato la vita. Continua a dire ‘avrei dovuto proteggere te e non l’ho fatto’, ma in realtà ha fatto esattamente il necessario per assicurassi che non morissi”. Era il giorno di Capodanno e la coppia si trovava sulla strada che collega Nashville, in Tennessee a Jacksonville, in Florida. Quando la loro macchina ha iniziato a sbandare Hunter ha tentato con una manovra di limitare i danni. L’impatto è stato comunque forte ed entrambi hanno perso conoscenza.

Quando si sono ritrovati in pronto soccorso, entrambi con il collare ortopedico addosso, Hunter si è alzato dal suo letto per cercare Arika, assicurarsi che stesse bene e far sì che la ragazza sapesse che anche lui era uscito incolume da quella brutta avventura.

“Si è preso cura di me e quando eravamo entrambi sdraiati nei nostri letti. Ha trovato un modo per venire a proteggermi il cuore e darmi un abbraccio. Avevo bisogno di sapere che stava bene”, scrive Arika nel suo stato.

L’incidente si è concluso con solo qualche punto di sutura. E Arika ringrazia il Signore di aver potuto riabbracciare Hunter.

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Cani riescono a riconoscere le emozioni umane. Parola di scienziati

REGNO UNITO ─ Gli scienziati britannici e brasiliani hanno provato che il cane è capace di riconoscere e capire qual è lo stato emotivo degli esseri umani, e anche degli altri cani. Il miglior amico dell’uomo mostra di avere ben più qualità di quello che possiamo pensare.

Osservatori attenti
I cani sono degli attenti osservatori. Secondo quanto infatti emerso dallo studio dei ricercatori dell’Università di Lincoln (Regno Unito) e dell’Università di San Paolo (Brasile), e pubblicato sulla rivista Biology Letters, soltanto osservando le espressioni facciali del padrone, e ascoltando anche il tono di voce, sanno capire cosa sta provando in quel momento e quali emozioni lo animano.

Quasi “umani”
Senza voler affermare che il miglior amico dell’uomo è quasi come lui, si può tuttavia dire che a volte riesce a comprendere meglio il suo proprietario rispetto a quanto magari farebbe un altro essere umano. L’empatia che il cane a volte riesce a creare con il suo amico a «due zampe» è eccezionale. I ricercatori, in questo studio, hanno scoperto che il cane ha la capacità di formare una rappresentazione mentale degli stati emotivi, sia positivi che negativi. E non lo fa soltanto con gli esseri umani, ma anche con i suoi simili.

Elaborare le informazioni
«Il nostro lavoro ─ spiega il dott. Kun Guo, coautore dello studio ─ mostra che i cani hanno la capacità di integrare due diverse fonti di informazioni sensoriali in una percezione coerente delle emozioni, sia degli esseri umani che dei cani. Per fare ciò è necessario un sistema di classificazione interna degli stati emotivi. Questa capacità cognitiva è stata evidenziata finora solo nei primati e la capacità di fare questo tra diverse specie si è vista solo negli esseri umani».

Gli esperimenti
Per arrivare alle loro conclusioni, gli scienziati hanno coinvolto 17 cani a cui hanno mostrato immagini e fatto ascoltare i suoni (parole o latrati) di persone o altri cani che riproducevano emozioni positive e negative. Tra queste, felicità, gioco, ira, aggressività ecc.
Gli esperimenti hanno rivelato che i cani erano più concentrati quando all’immagine era abbinato anche il suono. «Molti proprietari di cani ci segnalano nei loro aneddoti che gli animali domestici sembrano molto sensibili agli umori dei membri della loro «famiglia umana». Il nostro studio è il primo a dimostrare che i cani riconoscono veramente le emozioni negli esseri umani e negli altri cani, senza ricevere alcuna formazione precedente o aver trascorso un periodo di familiarizzazione con i soggetti presentati nelle immagini o negli audio. Una capacità, dunque, che può essere intrinseca», conclude il dott. Daniel Mills, coordinatore della ricerca.

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Taglia il pane e lo condisce con il formaggio, ottiene un risultato spettacolare

Aspettate degli amici a cena e avete voglia di stupirli con un antipasto diverso dal solito? La ricetta che vi proponiamo fa proprio al caso vostro. Vi bastano pochi ingredienti e in pochi minuti otterrete un bellissimo (e buonissimo risultato): un pane al formaggio e origano. Si tratta di una preparazione che riscuote molto successo negli Stati Uniti, ma che siamo sicuri può essere ricreata e modificata secondo il proprio gusto personale.

Gli ingredienti sono molto semplici: un filone del pane che preferite, formaggio, burro, origano, sale, pepe e aglio.

Tagliate il pane proprio come mostrato nel video, in modo da creare dei bastoncini, quindi tagliate il formaggio e inseritelo negli spazi che avete creato. La base del pane deve rimanere intatta. Fate sciogliere il burro e mescolatelo insieme a origano, sale, pepe e aglio, quindi versatelo sul pane. Informate a 200° per 15/20 minuti.

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NON BUTTATE LE BOTTIGLIE DI VINO E BIRRA: ECCO COSA POTETE FARCI

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Riciclare le bottiglie di vetro in maniera creativa è un modo per risparmiare e al tempo stesso mettere alla prova la propria fantasia. Se il vostro bidone delle immondizie è pieno di bottiglie di vetro, di vino o di birra, o di qualsiasi altra bevanda, prima di liberarvene completamente forse è il caso di dare un’occhiata a queste 10 possibilità di riciclo. Ecco dunque 10 idee creative, da mettere in pratica fin da subito:

1) Lampade da tavolo

Le bottiglie della birra e del vino possono diventare lampade da tavolo: è sufficiente realizzare, con l’ausilio di una punta di vetro, un foro e inserirvi all’interno un filo di luci.

2) Porta candele

Un altro suggerimento è quello di dare vita a dei porta candele, magari ottenuti tagliando le bottiglie a metà. Basta avere a disposizione un kit per tagliare le bottiglie, e in poco tempo si ottiene quel che si desidera.

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3) Scaffali

Avendo delle mensole di legno e delle bottiglie di vetro – purché siano tutte delle stesse dimensioni – si possono creare degli scaffali alquanto originali, come quelli creati dall’azienda scozzese Zero Waste Design.

4) Alberi di Natale

Sono sempre più diffusi, e decisamente spettacolari dal punto di vista estetico, gli alberi – di Natale e non solo – realizzati con le bottiglie di vetro: a Shanghai, per esempio, nel 2009 sono state adoperate mille bottiglie di Heineken per dare vita a un albero magnifico.

bicchieri

5) Bicchieri

Sembra strano dirlo, ma dalle bottiglie di vetro si possono ricavare… dei bicchieri di vetro. Anche in questo caso, è indispensabile tagliarle a metà (vi basterà incidere la bottiglia con un cutter da vetro, poi usare una fiamma per scaldare la linea che avete inciso, ed infine passare attorno all’incisione con un cubetto di ghiaccio. Pochi istanti dopo la bottiglia si romperà lungo tale linea).

6) Torce

Se le torce Tiki in bambù sono poco gradite, non c’è soluzione migliore che prepararle con le bottiglie di vetro. Lo dimostra la proposta di Design Sponge, che offre lampade minimali e dallo stile moderno ricavate da semplici bottiglie di vino. Il vantaggio garantito da questi oggetti è duplice: si tratta, infatti, di torce che costano molto poco e che possono essere montate direttamente al muro.

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7) Lampadari

Un’idea molto fantasiosa è quella di realizzare un lampadario con delle bottiglie di vetro rovesciate. Ci vuole, in questo caso, un po’ di maestria, con la giusta esperienza nel fai da te.

8) Vasi lavagna

Grazie alla vernice lavagna, chiunque ha la possibilità di trasformare una bottiglia in cui era contenuta l’acqua in un vaso trendy e dall’aspetto molto intrigante, sul quale sarà divertente disegnare e scrivere tutto quello che si desidera.

campanelli

9) Campanelli

Le bottiglie di vetro possono essere riciclate in modo creativo anche tramite una trasformazione in bell chimes. Il kit per tagliare il fondo permette di eseguire il lavoro senza difficoltà, e con un po’ di spago, un pezzo di rame battuto e una palla di legno le campane sono pronte per essere suonate.

10) Alimentatori per uccelli

Infine, l’ultima proposta per riciclare le bottiglie di vetro in modo utile e interessante è quella che prevede di dare vita a degli alimentatori per uccelli. Le bottiglie vanno appese a testa in giù a un gancio, e al loro interno va inserito un piccolo tubicino che esca dal collo e che permetta ai volatili di nutrirsi.

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LO SAPEVATE? C’è un villaggio segreto dove i nudisti girano senza abiti da 85 anni.

Amminare per strada, lavorare e persino svolgere mansioni quotidiane e domestiche come lavare l’auto o aggiustare l’antenna della tv: tutto rigorosamente nudi. A Spielplatz, in Hertfordshire (Regno Unito), c’è un vero e proprio paradiso terrestre, un piccolo e segreto villaggio di nudisti nato 85 anni fa. La comunità offre un interessante spaccato su una delle più antiche colonie naturiste della Gran Bretagna. A Spielplatz se entri in un pub ti servono la birra senza niente addosso e mostrano le proprie grazie con naturalezza e disinvoltura. Isotta Richardson, 82 anni, figlia del fondatore del villaggio Charles Macaskie, ha vissuto lì dalla nascita e insiste: “La nostra vita è ordinaria e normale come tante altre, ma solo noi abbiamo la fortuna di vivere in questo luogo straordinario”. Visitare questo villaggio è però proibitivo: vietato indossare abiti.

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A NAPOLI SI DIFFUSE UNO STRANO OGGETTO CHE FECE SORRIDERE MEZZA EUROPA: IL BIDET

SI DIFFUSE UNO STRANO OGGETTO DEL DESIDERIO CHE FECE SORRIDERE MEZZA EUROPA: IL BIDET

Il bidet ha sempre avuto una cert’aria di sconvenienza continentale, e non è mai stato accettato del tutto.

Qui, non si scappa. Il comma 3 dell’articolo 7 del Decreto ministeriale sulla sanità del 5 luglio 1975, lo afferma chiaramente: «Per ciascun alloggio, almeno una stanza da bagno deve essere dotata dei seguenti impianti igienici: vaso, bidet, vasca da bagno o doccia, lavabo». Ma, qui, siamo in Italia, e l’installazione del bidet è una delle condizioni per ottenere l’idoneità igienico-sanitaria, propedeutica alla certificazione di abitabilità di un appartamento. Qui, è un obbligo, e non dobbiamo farci prendere per il… naso: nonostante la parola suoni alla francese, andate a cercarlo, il bidet, nell’elegantissima Francia di Coco Chanel e di Yves Saint Laurent. E non è una questione di mancanza di spazi, sarebbe troppo facile: anche nelle dimore più lussuose e snob, negli alberghi a otto stelle con bagni da enne metri quadrati, in case con cucine faraoniche e cantinole grandi come piazze d’armi, quello strano aggeggio, basso, di solito in ceramica e accanto alla tazza sanitaria che omologa belli e brutti, è quasi totalmente misconosciuto. L’uso del bidet, e questa è la prima verità rivelata, è una questione culturale. In Germania, il giornalista tedesco Nikola Obermann ha messo tutti in guardia, lo strano oggetto del desiderio è in estinzione, in Francia lo adoperano per il pedicure o come piccola vasca per mettere a mollo i vestiti, in Inghilterra per mantenere le bottiglie di birra in fresco: «Se ne avete uno, conservatelo. Presto sarà un pezzo da museo…» (N. Obermann, das Bidet, in «Karambolage» del 29 novembre 2009).

Il nome e l’accento dell’idro-sanitario (i dizionari schedano il bidet proprio in questo modo) farebbero intendere palesemente le sue origini francesi. Ma l’oscuro strumento, che violando ogni privacy guarda tutti dal basso verso l’alto, fu veramente inventato da un cittadino di Francia? E qual è la vera storia del bidet? Come mai i paesi europei lo condannarono, e poi l’oscena invenzione trovò la sua gloria proprio a Napoli, con i Borbone?

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Se ne parlò la prima volta nel 1726, la versione ufficiale, almeno, così racconta. Il primo documento che attesterebbe l’esistenza del bidet è la memoria di un nobile che fu anche ministro degli Esteri, René Louis de Voyer marchese d’Argenson, il quale frequentava le stanze private della florida ventottenne adorata da Voltaire, madame de Prie (Jeanne-Agnès Berthelot de Pléneuf), ex amante del Reggente di Francia sotto Luigi XV, il duca Luigi-Enrico di Borbone. Un giorno, il marchese d’Argenson entrò nel gabinetto di madame de Prie sorprendendola scosciata, a cavalcioni su un bidet, all’epoca quasi un arnese esotico, molto più ammiccante e pruriginoso di un gingillo erotico. Il marchese strabuzzò gli occhi, a disagio, con lo sguardo puntato sulla pelle nuda della donna cercò di ritirarsi, tuttavia la ragazza lo invitò a rimanere, maliziosamente. «Ne seguì una situazione imbarazzante quanto piccante. “Permettete, madame”, disse il marchese, “che io possa inaugurare questa vostra pulizia”. Ed effettivamente d’Argenson, preso da subitaneo trasporto, abbracciò le natiche di Madame de Prie» (L. Spadanuda, Storia del bidet: un grande contenitore ideologico, 1998).

In quel periodo, il bidet era come quello di oggi, il tempo e il design non lo hanno ammuffito, casomai hanno aggiunto al prototipo iniziale acqua corrente, la rubinetteria per miscelare caldo e freddo, un getto a spruzzo al centro della vasca per irrorare le parti bisognose (in disuso, per lo più) o una doccetta virtuosa, ma, nella sostanza, è come allora: un piccolo tino di forma ovale appoggiato sopra uno scheletro di legno con tre o quattro piedini terminali a sostegno. La preziosità dell’oggetto, che in modo casto inizialmente chiamavano “sedia di pulizia”, era data dal confezionamento degli ebanisti i quali lo raffinavano con intarsi preziosi, gemme e ori secondo i gusti dei propri laboratori e della moda (anch’essa privata ed esclusiva).

La parola che lo denomina, bidet, identificherebbe la “cosa” come francese. Ma, beninteso, è soltanto una delle teorie. La più accreditata, che è anche la più semplicistica, farebbe risalire il termine al tipo di utilizzo dell’oggetto su cui si sale in groppa come su un cavallo: alcuni studiosi di etimologia fanno derivare il nome dal celtico bid, che significa “piccolo” (in gaelico, bideach: “piccino”), e poi a una parola italiana desueta, bidetto, con cui si indicava un cavallo di minuta statura e, in senso figurato, un «vaso su cui uno si siede per lavarsi». E se, invece, fosse il cognome dell’inventore, tal Alphonse Bidet? Un valdostano emigrato a Parigi dalla valle alpina di Valtournenche alla fine del Seicento, appassionato d’idraulica: il giovane Alphonse, prima di morire, avrebbe consegnato a un mobiliere della famiglia reale, Christophe Des Rosiers (altre fonti, però, parlano di un certo Marc Andre Jacoud, che rivendicò l’invenzione), il prototipo utilizzato per le sue bagnature intime. Des Rosiers battezzò il pezzo igienico con il patronimico del giovane idraulico emigrante morto prematuramente, lo produsse in serie e riuscì a piazzarlo all’interno della reggia di Versailles in almeno un centinaio di pezzi. I bidet, però, non ebbero la fortuna sperata; nell’arco di un solo decennio gli stravaganti aggeggi furono dismessi uno dopo l’altro e finirono con l’allietare le giornate calde delle prostitute nei bordelli di Parigi: il bidet è tornato da dove era venuto, si disse.

18th_century_bidetIl curioso e ambiguo attrezzo sanitario provocò non poche alzate di scudi nel Settecento, illuminato ancorché bigotto quanto basta per confondere il bidet con una bacinella per sospette abluzioni rituali in odore di eresia, o di erotismo. Il rapporto d’intimità che si crea tra il fruitore e lo strumento del diavolo, fece pensare a una relazione malata con il corpo il quale, non si sa bene per quale motivo, sembrò che improvvisamente avesse bisogno di cure e di igiene, addirittura intime. Il fattore maggiormente spiazzante di queste prese di posizione è che non furono solamente i religiosi a salire sulla barricata anti-bidet, ma l’aristocrazia benpensante e moralizzatrice. Mentre gli antichi romani fecero delle terme un amabile luogo d’incontro, il cambio di prospettiva cristiana etichettò i bagni pubblici come seminaria venenata, i “focolai del vizio”; gli uomini di chiesa, memori della formazione degli anacoreti, si convinsero che l’acqua fosse un’insidia del demonio, una blandizia che attira gli uomini (peggio se donne) nella trappola della vanità e della cura di se stessi. Insomma, il bidet – che costringe a guardarsi e a toccarsi le parti del peccato – avrebbe sicuramente spedito tutti quanti all’inferno. La mortificazione del corpo non può convivere con l’igiene, e l’igiene fa a pugni con la morale: il paradosso fu nel considerare antigienico, e cioè malsano, il lustrarsi. Il sudiciume, invece, aveva virtù celesti, perciò i Padri della Chiesa inveirono contro la cura delle membra: san Girolamo predicava alle giovanette di farsi il bagno nell’oscurità, poiché altrimenti sarebbero incorse nel pericolo di vedersi nude; Gregorio Magno affermava che lavarsi era un lusso, dacché faceva perdere tempo; nei conventi medievali, muniti di enormi tinozze, per non peccare, era concesso prendere bagni solamente a ogni inizio di stagione. L’odore acre indirettamente promulgato dalla religione cattolica condizionò il comportamento, i costumi e anche le attività amatorie. La mancanza di nitore nelle parti basse fece crollare la borsa delle laboriosità orali, il sesso con la lingua di lui, o con la bocca di lei, era sconveniente giacché indecente, ma non solo: cunnilingus e fellatio erano ugualmente sconsigliati a causa della inadeguata condizione igienica delle parti da diletto le quali emanavano miasmi mefitici da cloaca. Dal punto di vista maschilista, gli effetti disastrosi della condizione sanitaria confermarono quanto avevano predicato san Girolamo delle donne che, non a caso, aveva chiamato saccum stercoris («sacco di merda»), e Tertulliano «un tempio di carne costruito su una fogna» o, meglio: «la porta del diavolo» (De cultu feminarum).

Si arrivò, quindi, al Settecento con quest’oscuro vergognoso retaggio intellettuale sulla pulizia intima e sui lavacri a cavalcioni sul bidet, inaspettatamente assurto a emblema del meretricio e a stravagante e sensuale oggetto piccante, protagonista finanche nella letteratura erotica di alcuni scrittori che si celarono dietro anonimato (Denis Diderot, o Jean-Baptiste de Boyer?) e del Divin marchese, Donatien-Alphonse-François de Sade, un maestro del genere. Per quanto tra i reali a Versailles andasse di moda la sala da bagno separata in un ambiente autonomo, il bidet continuò a essere uno strumento ben oltre ogni decenza, utilizzato per chissà quali sconci scopi dalle prostitute nei bordelli (qualcuno suppose addirittura fosse un adeguato mezzo anti contraccettivo), e l’attrezzo di lavoro – di “quel” lavoro – fu ripudiato, espulso sia da Versailles sia dalle abitazioni aristocratiche à la page.

Per come andarono le cose, e per l’atmosfera da caccia all’untore che tirava, la notiziola che intorno al 1739, in Francia, il bidet fosse pubblicizzato con la dicitura “custodia per violino in porcellana”, oppure con “stringhe di chitarra su tre piedini”, non può fare intendere che fosse il banale errore interpretativo di uno sciocco addetto al marketing ante litteram, bensì un modo un po’ astuto e un po’ tonto per aggirare il bigottismo e nascondere la reale identità del manufatto libertino.

Proprio in quegli anni, non molto tempo dopo, a Napoli arrivò Maria Carolina d’Asburgo Lorena, la regina straniera, dal 1768 moglie di Ferdinando, per il quale fu una musa ispiratrice. Il giorno in cui, dopo un lungo viaggio, sbarcò a Terracina e giunse nella capitale borbonica, fu una grande festa, al duomo sua maestà donò a san Gennaro una «ricca crocetta di zaffiri e di brillanti» (G. Buttà, I Borboni di Napoli al cospetto di due secoli, 1877) e il popolo la acclamò pur non conoscendone le virtù: ancora nessuno poteva sapere – e apprezzare – le novità che la giovanissima sovrana trainava con sé nel proprio baule viennese. Maria Carolina, oltre a essere la figlia numero tredici di Maria Teresa d’Austria e dell’imperatore Francesco I, era una donna intelligente e volitiva. Dal 1775, con la nascita del primogenito, prese in mano la politica di corte, contribuì al distacco del regno dalla monarchia spagnola, e la vecchia élite ebbe le ore contate: «Carolina d’Austria, figlia di potente monarca, era bella di aspetto, non compiva gli anni sedici, ed avea senno maturo e virile: essa attirò gli sguardi del popolo, e tutti videro in Lei un’arra di regno felice. Tanucci [ex reggente, ministro di re Ferdinando di Borbone, n.d.a.] e Carolina si guatarono in cagnesco, non per disparità di principii, ma per gelosia di potere» (G. Buttà).

Maria Carolina portò a Napoli una ventata d’aria effervescente che a corte scompigliò il clima stantio; dal punto di vista dell’igiene, poi, la sua fu una rivoluzione. Non bisogna pensare, tuttavia, che la sovrana scandalizzasse i suoi sudditi, né che qualcuno osasse paragonarla a una cocotte o a una malafemmena, come sarebbe sicuramente accaduto altrove. Tutt’al più, qualche motteggio: pare che proprio per lei furono scritte le sestine goliardiche de La culeide, stampate e diffuse clandestinamente a Strasburgo nel 1842. Gabriele Rossetti (l’ipotesi è controversa, l’autore ignoto potrebbe essere il marchese di Caccavone, al secolo Raffaele Petra), poeta risorgimentale abruzzese-napoletano, per vendicarsi della soppressione dei moti liberali del ’99, nascose la propria identità con l’anonimato e prese in giro il «sacro monte» reale, sebbene la sovrana fosse da tempo all’aldilà. Non è dato sapere con certezza se Rossetti fosse a conoscenza del licenzioso bidet nell’appartamento di Caserta, tuttavia è a una certa Carolina – o alle sue maestose pudenda – che dedicò il poemetto:

Non canterò di favolosi Numi gli oracoli bugiardi; o di feroci mentiti eroi le gesta, ed i costumi; le gloriose colpe, o i casi atroci. Gli orrori o i sogni d’una età ferina non vo’ cantar; ma il cul di Carolina. […] Come placida viene al lido l’onda quando lieve sul mar Zeffiro scherza, che alla prima succede la seconda, e questa torna e va a lambir la terza, lieta d’un bacio al sen di Mergellina, così movesi il cul di Carolina.RossettI

Nonostante il cattolicesimo dominante, la regina Maria Carolina trovò un terreno pronto ad accogliere le innovazioni. A differenza con gli altri paesi europei, qualche secolo prima dell’insediamento della regina di Vienna, infatti, nell’anno Mille la Campania aveva ospitato una donna straordinaria spesso dimenticata, Trotula de Ruggiero, la più famosa tra le Mulieres salernitanae, le dame della Scuola Medica Salernitana con cui la nobildonna scienziata operò. Trotula fu il primo medico moderno di sesso femminile, a lei sono attribuiti studi fondamentali che, dal punto di vista scientifico, fondarono le discipline della ginecologia e dell’ostetricia (De passionibus mulierum ante in et post patrum). In un trattato sulle cure mediche delle donne, e a loro rivolte «perché non parlano volentieri delle loro malattie agli uomini, per un sentimento di pudore», nonostante il divario di circa settecento anni, la sapiente si dimostrò molto avanti rispetto alla tradizione medica del XVIII secolo, e alle stesse usanze dell’epoca dei Lumi:

bidet-anticoPrima dell’accoppiamento la donna dovrà pulirsi i genitali interni con le dita avvolte in lana asciutta. Successivamente, dovrà strofinare accuratamente gli organi interiori ed esteriori con un panno perfettamente candido. Quindi, dovrà divaricare le gambe così da permettere il deflusso completo di ogni fluido delle sue parti interne. Ciò fatto dovrà inserire tra le gambe il panno di lana e unire le gambe molto strettamente per asciugarle con cura. Poi, dovrà masticare la polvere di cui ho fatto cenno in altra parte dell’opera e strofinarsene le mani e i seni, cospargendo quindi acqua di rose sul pelo pubico, sul pube stesso e su tutte le parti adiacenti, senza dimenticare il viso e le orecchie. Così preparata, avvicinarsi al maschio (De passionibus mulierum curandarum, 1050 ca.).

Trotula, perciò, costituì la coltura su cui attecchì il seme dissoluto del bidet a quattro gambe in stile Luigi XV del bagno personale di Maria Carolina, un’idea di civiltà e di pulizia personale che fu aliena anche durante il secolo successivo. In Inghilterra, ancora nell’Ottocento, la pudica società vittoriana guardò all’igiene – e in particolare al bidet – come a una bizzarria continentale, un po’ come accade oggi, vista la posizione che ricopre la Gran Bretagna nella classifica dell’intima pulizia.

La regina Maria Carolina di Borbone, negli appartamenti privati in stile rococò della reggia di Caserta, realizzò, per prima, il “Gabinetto a uso del bagno” e il “Gabinetto a uso del ristretto”, una toilette all’avanguardia in cui introdusse pure l’innovazione dell’allacciamento della vasca alle condotte d’acqua corrente e i rubinetti miscelatori caldo/freddo, tanto da fare a meno degli inservienti di corte, un po’ guardoni e un po’ pettegoli. Con la sovrana, l’oggetto peccaminoso trovò finalmente la propria identità, e anche la riservatezza. Il lascivo e osceno strumento fu messo al riparo da occhi indiscreti, in un camerino appena distaccato, in modo che nessuno potesse scorgere Maria Carolina in atteggiamento intimo con se stessa. A tutela della discrezione delle graziose forme del posteriore reale, furono apposti un guardiano di specchi, attraverso i quali Maria Carolina era in grado di scorgere eventuali curiosi in avvicinamento o in agguato, e un dubbio simbolo ammonitore, alcune testine scolpite con gli occhi bendati: potevano sia indicare che in quel luogo non era legittimo sbirciare, sia minacciare sfortuna al malcapitato voyeur che rischiava la maledizione dell’indovino Tiresia, il quale divenne cieco dopo aver visto le forme senza veli della dèa Atena.

Nel resto dei grandi paesi europei il bidet fu quasi del tutto dimenticato. Non c’è da meravigliarsi, quindi, se all’indomani della conquista militare del Sud, i funzionari sabaudi addetti all’inventario del magnifico palazzo reale di Caserta – la risposta napoletana a Versailles – rimasero sconcertati: si trovarono davanti un articolo curioso, mai visto, e di cui non conoscevano l’esistenza (A. Forgione, Made in Naples). Non sapendo come classificarlo, nel pubblico registro archiviarono il bidet della sovrana con una semplice descrizione che, se non fece ridere loro a quel tempo, fa certamente sorridere noi ora: «Oggetto sconosciuto a forma di chitarra».

Fonte: Maurizio Ponticiello

La prof si spoglia per insegnare anatomia

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Come catturare l’attenzione dei tuoi alunni e far capire loro come è fatto il corpo umano? Basta spogliarsi. Nel modo giusto, però.

Lo ha capito bene Debby Heerkens, insegnante alla Groene Hart Rijnwoude nei Paesi Bassi. Durante una lezione di anatomia, è salita in piedi sulla cattedra e si è levata pantaloni e maglia, rivelando sotto una tuta aderente che riproduceva perfettamente il sistema muscolare.

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