Un animale che, secondo la tradizione popolare, ha influssi molto negativi. La tradizione popolare, e ovviamente anche quella romagnola, è densamente popolata di superstizioni legate agli animali, credenze che li pongono spesso in buona luce, ma molto più sovente sotto una cattiva fama. |
Queste superstizioni sono state purtroppo la scusa per cacce indiscriminate o per ritorsioni violente contro il malcapitato di turno e non è raro trovare persone che ancora, ovviamente pur non credendoci!, mal sopportano certe presenze e non mancano di compiere qualche gesto scaramantico.
L’esempio forse più noto a tutti è quello del gatto nero che, quando si azzarda ad attraversarci la strada… sicuramente era meglio se rimanevamo a casa perché qualcosa di sicuro accadrà. Ma non è solamente il gatto a portar fastidi. Nella notte si annida, è il caso di dirlo, un altro potente nemico: la civetta.
Il canto della civetta
La civetta la conosciamo un po’ tutti, anche se forse i più non l’hanno mai vista dal ‘vero’ ma solamente riprodotta in qualche libro di scienze naturali. E’ un piccolo rapace notturno (già questo basterebbe per giustificare la pessima fama) il cui nome scientifico è immensamente poetico: Athene noctua.
Vive un po’ in tutta Italia (solo le Alpi si salvano dalla sua scomoda presenza) e si contraddistingue per il corpo tozzo e la testa grossa, con due occhi rotondi e gialli che mettono spavento e lunghe zampe ricoperte di setole. A guardar bene, di notte, in campagna, si può scorgere la triste sagoma appollaiata su un ramo emettere un lugubre canto e allora, direbbero i superstiziosi, occorre fuggire lontano e non rimanere nei paraggi. Ma perché?
Un animale che porta la morte
Questo animale, da secoli, spaventa a morte i contadini. Guai a ritrovarselo vicino casa, perché la disgrazia sarebbe stata imminente. La tradizione romagnola e la letteratura prodotta negli anni passati sulle superstizioni locali, hanno citato più volte la cattiva fama del simpatico rapace.
Padre Agostino da Fusignano, ad esempio, in un’opera data alla stampe nella seconda metà del Settecento, raccogliendo alcune delle credenze del contadino romagnolo, è estremamente chiaro su ciò che può fare la civetta:
“Se canta una civetta vicino a casa vostra, tenete per infallibile che i preti canteranno presto le esequie sopra uno dei vostri”.
Il canto della civetta era così il triste annuncio della morte di un famigliare: come poter volere bene ad un animale che porta una così triste notizia?
E a diffondere questo suo ‘vizietto funebre’ contribuirono anche letterati e poeti, che sprecarono parole sulle abitudini del rapace. Così, sarcastico, il grande Aldo Spallicci “an rid piò insuna! agli à ciapè spavent / dla zveta ch’ porta sgrezia a chi ch’ la sent” scrive in una poesia dialettale contenuta nella raccolta “La Zarladora”.
Una superstizione antica
Ma quando è nato l’odio verso la civetta? Molto tempo fa, tanto che una sua connotazione negativa la si trova già nella cultura classica. Nelle Metamorfosi di Ovidio, ad esempio, Asclalafo, figlio di Acheronte, il fiume degli Inferi, viene trasformato in una civetta maschio e, dopo la mutazione, altro non avrebbe potuto fare che predire il male. La civetta era ritenuta dai Romani così negativa che quando ne entrava una nel tempio di Giove Capitolino, occorreva purificarlo interamente. Con tanta storia alle spalle dunque, ci si stupisce della pessima fama che ha mantenuto fino ad oggi?
Ma poi c’è anche il suo riscatto. Paradossalmente, nell’antica Grecia, la civetta era invece tenuta in grandissima considerazione come simbolo di vigilanza e di sapienza. Per questo era uno degli animali sacri alla dea Atena, dea della sapienza e della saggezza, dalla quale non si separava mai.